alessio delfino

Metamorphoseis

Il divino incarnato, secondo Alessio Delfino.

di Nicola Davide Angerame

Da diverso tempo, Alessio Delfino cerca nella fotografia una risposta aulica al conflitto, a quel polemos che per il pensatore greco Eraclito rappresenta la verità ultima, il sostrato metafisico dell’universo e della vita. Nell’ultima serie dedicata alle dee, Delfino propone un’incarnazione di i-dee attraverso una serie di fotografie che ritraggono donne vestite di un sottile strato d’oro, riprese in una posa inerte ma armonica, secondo l’esempio offerto dall’arte classica e frutto dell’intuizione di un momento, all’interno di un lungo percorso di ricerca, che detta la posa auratica di un intero mondo divino. Nell’iconografia neoclassica di Delfino scompaiono i simboli e le connotazioni che siamo soliti attribuire alle singole divinità, così come anche ai santi cristiani. Superato il primo impatto, si nota che dietro la posa neutrale e rilassata delle sue “modelle” (che sono sia professioniste sia ragazze della porta accanto: la bellezza ha molti volti) si cela un sottile lavoro di studio e confronto tra i differenti “tipi” fisici, e fisiognomici. Dietro ciascuno di questi “tipi divini”, resi immobili e dormienti dentro colate d’oro, s’intravedono mondi del tutto differenti: da quello giunonico di Venere a quello violento di Era, passando per le docilità di Gea. In tal modo, Delfino fa riferimento al corpo femminile, una delle immagini più abusate del nostro tempo, salvandone la forza evocativa e la capacità d’incarnare l’idea del bello, dell’armonia ma anche del disordine e della forza bruta, come accade con alcune dee della discordia presenti nel mito. Delfino fa un lavoro di astrazione, togliendo tutto il superfluo e il banale e ottenendo nuove icone, immagini statuarie e forme simboliche capaci di esprimere un’inedita interpretazione del Mito, ma anche di offrire una più intensa visione del femminile, privato degli attributi moderni della sensualità, dell’erotismo, dell’attrazione fisica in cui la femminilità è stata relegata da una cultura che ha perduto i molteplici sensi della bellezza, ormai intesa solo come una patina luccicosa e appiccicaticcia stesa sul vuoto di immagini pubblicitarie, di pin-up e soubrette che non rappresentano altro che se stesse, gingilli per un pubblico in distratta adorazione di nuovi falsi miti. Con la molteplicità del proprio Pantheon, il paganesimo antico ha rappresentato un esempio di tolleranza, d’apertura alle diversità e d’assorbimento culturale: d’ibridazione e proliferazione. La sua natura spuria e la capacità che in passato hanno avuto le religioni politeiste di assorbire divinità provenienti da altre culture, dimostrano una vitalità, una capacità d’accoglienza che si è rafforzata poi nel Cristianesimo monoteista, attraverso una maggiore pluralità di esempi, tutti tesi a rappresentare le massime virtù cristiane sotto forma di “incarnazioni” umane, quali appunto sono le centinaia di santi e di sante presenti nella storia della chiesa. Esiste il rischio, che va fugato con un poco d’attenzione, di una lettura superficiale della consistenza muliebre di questo “plotone” divino, che potrebbe apparire troppo à la mode, se non si considera l’enorme bagaglio di significati, narrazioni ed emozioni che contengono in nuce i singoli corpi e i volti che rappresentano il corpus divino. La femminilità messa in scena da Alessio Delfino è, infatti, una femminilità che sembra ripetersi e invece si rigenera. Se, nella ripetizione è l’uguaglianza a giocare il ruolo portante, nella rigenerazione è la differenza ad essere protagonista. Questa sottile linea di demarcazione opera nelle immagini di Delfino e rappresenta forse il suo risultato di maggior interesse, non escluso un altro importante traguardo come quello della consistenza fisica delle immagini, capaci di catturare e riflettere luci, muscoli, fibre ed espressioni che sembrano far parte di un corpo sognante e immobile, eppure palpitante come se fosse percorso da una scarica onirica o in preda a tempeste interiori sopite dietro la luce silente e preziosa dell’oro: come se dietro la statua potesse ancora ardere la vita ferina e selvaggia di divinità appartenute ad antichi miti superati eppure ancora capaci di agire sulla nostra immaginazione e, forse, anche di segnalare una via culturale che si pensava perduta per sempre e che Delfino vivifica con una nuova ipotesi di lavoro e di riflessione. Un ultimo aspetto importante, che giustifica la presenza di sole donne nel lavoro di Delfino, è il fatto che il fotografo si rifà al Femminino sacro, alla primogenitura del Femminile sul Maschile, e al fatto che le comunità primordiali fossero matriarcali e venerassero divinità femminili, come quelle della fertilità o della generazione. Questa serie, risulta quindi essere un omaggio splendente alla femminilità intesa come idea somma, come luogo del divino in generale e in particolare.

Recupero del panteismo

Metamorphoseis
di Alessio Delfino
di Robert C. Morgan

La grandezza di Metamorphoseis di Alessio Delfino – una sintesi di fotografia e video nel senso più puro – nasce da un’idea di moda unita ad un’acuta consapevolezza delle belle arti e della storia. Accanto al suo virtuosismo tecnico e formale in qualità di fotografo, Delfino ha applicato una prospettiva concettuale unica per creare un grandioso lavoro artistico mediante la combinazione di mezzi diversi. Per trascendere il senso comune di mestiere, fascino e stile accademico, il progetto chiedeva all’artista di spostarsi in un territorio estetico incerto. Ma Delfino ha accettato il rischio e, nel farlo, ha scoperto un metodo con il quale riuscire ad oltrepassare le categorie dei mezzi e a realizzare il suo progetto visionario.
Metamorphoseis è un’opera d’arte che merita molta attenzione, non soltanto come spettacolo (che in un certo senso è) ma anche per altri due motivi inconciliabili, vale a dire il gusto artistico e la rappresentazione.
È stato ricordato che il recente progetto di Delfino va oltre gli aspetti ripetitivi e mondani dell’arte politica e raggiunge il cuore dei concetti di bellezza e identità in rapporto alle donne, attraverso una consapevolezza storica e mitologica. Ci sono diverse versioni di Metamorphoseis, che prevedono una presenza statica (fotografia) e cinetica (video). Le versioni fotografiche sono stampate su carta metallizzata con un’altezza di 167 centimetri e una larghezza di 50 centimetri, in pratica a grandezza naturale. Nella versione video è un lavoro in cui le fotografie sono modulate in una sequenza, dove appaiono e scompaiano, dando l’impressione di dissolversi una nell’altra.
Alessio Delfino allestisce le sue mostre per dare al visitatore l’opportunità di sperimentare sia la versione fotografica sia la versione video di Metamorphoseis. I corpi nudi delle donne sono dipinti con vernice cosmetica dorata, allineati insieme uno accanto all’altro e rivolti verso la telecamera in posizione frontale. Sembrano statue d’oro con gli occhi uniformemente chiusi. Il soggetto è lo stesso in entrambe le varianti, ma la versione video implica una trasformazione metaforica poiché le immagini delle varie donne appaiono e scompaiono fondendosi una nell’altra. Anche se inizialmente le donne possono sembrare tutte uguali (dato il colore dorato e la posizione frontale) ad un esame più attento è evidente che ciascuna mantiene un aspetto distinto. Secondo l’intenzione più o meno teatrale dell’artista, ogni donna simula le vestigia e il carattere di una dea mitologica dell’antica Grecia, come quelle raffigurate sui marmi di Elgin al British Museum, ricavati dall’antico Partenone di Atene. Tra queste vi sono Iris, Artemide, Estia, Dione, Afrodite, Persefone, Demetra, Orizia e Amfitrite.
Delfino stesso ha effettuato la ricerca. Selezionando le sue “modelle” ha deciso di scegliere persone comuni piuttosto che professioniste. Durante la selezione ha parlato con ogni donna per conoscerne il carattere, cercando poi tra loro quelle che corrispondono alle dee di Atene. La sua aspirazione non era tanto esprimere qualità erotiche quanto enfatizzare il concetto di bellezza naturale a discapito di quello mediatico di glamour istantaneo. Delfino intendeva creare un fregio di dee, una processione panatenaica (mostrata anche in un bassorilievo sul Partenone) in cui il “peplo” rituale o gli indumenti fossero presentati ad Atena “la dea della saggezza” da cui deriva il nome della città di Atene. I volti delle donne hanno gli occhi chiusi, suggerendo pertanto che la mente è altrove e non specificamente all’interno nel corpo.
L’influenza della maschera della Morte di Agamennone gioca un ruolo importante in quanto si riferisce all’eternità piuttosto che ad un momento storico secolare. Osservando Metamorphoseis – in forma statica o in video – può venire alla mente il famoso trittico teosofico di Mondrian, Evoluzione (1911), in cui tre donne nude in blu guardano chi osserva in modo simile a quelle che hanno posato per Delfino. Sul lato sinistro e destro, gli occhi delle donne sono chiusi, al centro invece temporaneamente aperti, alludendo ad un improvviso, anche se fuggevole momento di vigilanza, all’illuminazione di un istante. La funzione delle donne di Alessio Delfino è simile a quella di Mondrian, ma con alcune interessanti differenze.
Il Partenone, nel quinto secolo A.C., era dedicato ad Atena, una donna mitologica che possedeva la saggezza. I vari dei e dee che la circondavano erano, per meglio dire, archetipi spirituali, ciascuno con una funzione speciale – caccia, fertilità, gioia, pena, frivolezza, abbondanza, stoicismo e così via. Queste divinità non erano semplicemente entità “spirituali” trasposte dalla vita normale, ma enti mitologici che simbolizzavano gli attributi degli esseri terrestri. Gli antichi greci erano panteisti, non monoteisti e credendo in diversi dei e dee, l’attenzione concentrata sulla qualità della vita aveva un aspetto più pratico, potremmo dire, più benefico. Lo spettacolo piuttosto inquietante, anche se evocativo, di Delfino, ci prospetta cosa potrebbe offrire una vita panteistica piena di dee femminili in un momento in cui il monoteismo appare sotto esame.

Robert C. Morgan è un critico, curatore, poeta e storico dell’arte che vive a New York. Autore e curatore di molti libri, nonché contributing editor di numerosi periodici, Morgan ha conseguito un diploma di Master in Belle Arti e un Ph.D. in storia dell’arte contemporanea.