Le opere che Alessio Delfino ci propone come cifra espressiva dei suoi ‘sogni’, attraverso la serie delle sue ultime fotografie, può essere riferita all’ambito delle fonti somatiche oniriche, quelle che Freud chiama ipnagogiche? In qualche misura sì e no, a voler intendere quanto l’artista dice rispetto alla capacità di memorizzare, anche visivamente, i minimi particolari degli oggetti in stato di souplesse, mentre, dovendo mantenere un’attenzione vigile nei riguardi delle fisionomie, questa precisione di dettaglio si slabbra in una percezione talvolta indistinta e poco calettata.
Similmente alle osservazioni sull’etiologia del sogno da parte del padre della psicoanalisi, le immagini rêvées di Delfino si fondono in “molteplici oggetti simili o del tutto identici”(1), diversamente però non riguardano stimoli sensoriali interni in stato di rilassamento ma l’intenzionalità attenta e oggettiva della veglia.
Sono più sogni ad occhi aperti che interrogano la ‘notte’ di Mnemosine invece che lo scandaglio ermeneutico dei suoi strascichi diurni al risveglio.
Tuttavia, le composizioni, di piccolo formato, sembrano attivare i medesimi ingredienti retorici riscontrabili nel lavoro onirico inconscio. Intanto, sono concrezioni di posture corporali – l’artista in teragisce sempre con modelli nudi, di preferenza figure femminili – unite insieme sulla base di una cernita di differenti movimenti che egli estrapola, grazie alla strumentazione digitale, da campionari di pose quasi sempre superiori ai cento scatti in ogni sessione di lavoro con ciascun soggetto.
Ogni singolo scatto raffigura una posizione del corpo del modello, che in buona sostanza funziona come il tema di avvio del ‘sogno’, il quale si conformerà in immagine definitiva ‘condensando’ in una «persona collettiva»(2) svariati altri momenti del suo posizionarsi diversamente in base alle indicazioni dell’artista. Questi, come un direttore d’orchestra, articola secondo un percorso definito la sequenza motoria, seguendola e fissandola, stazione per stazione, attraverso la macchina fotografica in istantanee successive.
Da questo materiale, Delfino perviene alla struttura finale del ‘sogno’, scegliendo le combinazioni plastiche che più sembrano confacenti alla sua idea espressiva e operando una ricomposizione ‘armonica’ delle varie figure in un plesso o ‘disegno’ d’insieme inaspettato e singolare.
Anche l’utilizzo della carta cotone, per stampare le foto, contribuisce a rendere i contorni dell’allotropo figurativo come se fossero tracciati a matita o a pastello, tanto che il costrutto immaginale sembra svaporare verso le tonalità opache dello sfondo quasi volesse rendere evidente la consistenza incerta e misteriosa, per la rammemorazione vigile, dei percorsi della logica onirica appunto.
Pure temporalmente, la dinamica costruttiva messa in atto dall’artista inerisce al lavorio discontinuo del sogno nel legare tra loro le situazioni. Infatti, ogni figura ricostituita ‘accorpa’ in sé, nell’hic et nunc della risultante artefattuale definitiva ed unica da esporre, scansioni temporali diverse, momenti parziali di vita che appaiono ancora individuabili, all’interno dell’amalgama ultimo che li conforma storicamente alla decisione poietica dell’autore, solo dopo attenta ed accurata analisi.
L’effetto “ a rebus”, che circola all’interno di questa serie di fotografie, risiede invece nella difficoltà in molti casi a collocare ‘morfologicamente’, cioè contestualmente ai ‘corpi’ d’appartenenza, parti anatomiche significative (glutei, seni, sesso e arti), fluttuanti ormai come significanti irrelati nell’orgiastica scambievole inerenza ad ogni possibile superficie epidermica.
Volendo psicanalizzare lo stesso Delfino, risulta consequenziale legare la metaforicità della condensazione, che propone allo spettatore, come allusione, dietro lo specchio, al desiderio di fusione totale con il corpo della madre da parte dell’infante.
Lasciando proseguire questo facile approccio, il messaggio vero dell’artista potrebbe allora risiedere nell’allusione, per traslazione, al carattere di feticcio dell’opera, attraverso cui la polimorfa perversità infantile trova finalmente un indirizzo socialmente ‘presentabile’.
La china di questo gioco, anche divertente se praticato in superficie, non può essere percorsa fino in fondo, tuttavia, perché proprio i dettagli, apparentemente marginali delle parti anatomiche connesse all’insistenza del desiderio, ci rendono edotti che un’azione di spostamento è avvertibile giusto rispetto a questi ultimi.
Ecco che allora queste componenti metonimiche, mentre referenziano attraverso le sineddochi visive in cui sono incastonate in favore della volontà dell’artista a ricostruire il corpo del suo modello, testimoniano al contrario che questo è un obiettivo secondario rispetto alle sue reali intenzioni.
I ‘sogni’ di Alessio, mediante le bizzarre architetture corporali con cui si presentano, sono in realtà esercizi metaforici o espedienti figurativi per parlarci della sostanza fisica dell’opera (d’arte).
Tale fisicità (o ‘scheletro’) dell’opera viene allegoricamente suggerita attraverso la rimodulazione formale della continuità cinetica del corpo nudo dei modelli, effettuata sottolineando e ‘mettendo a nudo’ che si compone dei due tropi basilari della metafora e della metonimia.
Oltre al valore paradigmatico per la grammatica dell’inconscio, che anche Lacan sulla traccia di Freud ha ripreso per illustrare le peregrinazioni del desiderio, metafora e metonimia hanno costituito da sempre l’ossatura dell’armamentario ‘linguistico’ con cui l’espressione artistica ha dato sostegno all’immaginazione nel suo sforzo di concretizzarsi in forma conchiusa.
Ora, con la deriva manieristica del Concettuale, invalsa durante il Postmoderno, l’arte contemporanea sembra, causa il prevalere dell’appropriazione e della citazione, aver preso congedo dall’istanza di creazione di nuovo senso immaginario, limitandosi ad un’illustrazione ‘sensata’ del reale, in cui convivono minimalismo ed enfasi, understatement e espressione urlata, insomma il risorgere di una neo-barocca retorica di forma e contenuto.
La proposta estetica di Alessio delfino pare procedere in direzione opposta a questa maggioritaria corrente di stucchevoli ‘ripetitori’ dell’esistente, i suoi ‘sogni’ alludono ad un possibile orizzonte di significati sicuramente ‘metafisici’.
GianCarlo Pagliasso
Note
- Freud, Opere, vol.III, tr. it. a cura di C.Musatti, Torino, Boringhieri, p.38.
- p.273.